Gabriele Toneguzzi

Display flessibile

Esempio display flessibile
Display flessibile (Plastic Logic)

Flexidis
I prossimi display saranno sempre più sottili, flessibili e costruiti su substrati di metallo o di plastica. E si potranno pure indossare. Si sta lavorando molto alacremente acciocché ciò diventi presto realtà in varie parti del mondo. Alcuni dispositivi, frutto di una ricerca finanziata dall’Unione Europea nell’ambito del VI Programma Quadro, sono digià prototipi. Ed entro non molto tempo potrebbero essere commercializzati. Tra i partner del progetto intitolato FlexiDis c’è pure l’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Ifn) del Cnr che sta contribuendo soprattutto all’ideazione e messa a punto dei dispositivi necessari al controllo dei singoli pixel degli schermi. Le proposte derivate da questi studi sono classificabili in due famiglie di prodotto: la prima raggruppa schermi a colori che utilizzano sorgenti di luce a base di materiali organici, mentre la seconda riunisce schermi monocromatici avvolgibili simili a fogli elettronici da utilizzare a mo’di quotidiano. A livello dimensionale, entrambe dovrebbero basarsi su elementi spessi circa 0.1mm arrotolabili entro un diametro di 15mm. È facile vaticinare che da tutto ciò ne trarrà giovamento il disegno d’una serie d’apparecchi esistenti come, ad esempio, i telefoni mobili od i sistemi di navigazione personale legati al posizionamento satellitare. Oppure ancora qualsivoglia sistema di visualizzazione d’informazioni ricevibili senza filo. Di tutto un po’, come ipotizza in un recente articolo pure The Economist: un impiego prosaico potrebbe essere pure quello di sostituire i classici cartellini dei supermercati almanaccando una nuova generazione d’offerte a tempo aggiornabili istantaneamente.

Pubblicato sul Giornale del Design (allegato al Giornale dell’Architettura n°41, giugno 2006)
 

This entry was written by gt, posted on 4 Settembre 2006 at 17:19, filed under Articoli/scritti, Biblioteca, Digital life, Industrial design. Leave a comment or view the discussion at the permalink.

Questioni percentuali: un editoriale di Gio’ Ponti sulla sua ‘Stile’

A sessantun anni di distanza, un curioso editoriale di Giò Ponti sulla condizione d’allora

Stile n°5 (53), 1945 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
CHE COSA SIGNIFICA LA NOSTRA COPERTINA?
Noi continuiamo le nostre esposizioni emozionanti di statistica. Cosa significano le due figure schematizzate in copertina?
Significano il rapporto fra gli italiani che abitano in stato di affollamento e sovraffollamento e quelli che godono abitazioni non affollate. Questi sono il 28% gli altri sono il 72%.
Affollamento e sovraffollamento significano quattro cinque sei persone per stanza. e si arriva alle 10 persone per stanza.
Affollamento e sovraffollamento significano inadempienza sociale.
Affollamento e sovraffollamento significano immoralità di convivenenza fra età e sessi differenti. Inutile, predicare la morale eppoi essere indifferenti a questo stato di cose.
Affollamento e sovraffollamento significano malattia e contagi: mortalità infantile e generale.
Affollamento e sovraffollamento significano carenza di civiltà e denari stornati dalla civiltà.
Affollamento e sovraffollamento significano sovratutto una situazione che domani deve scomparire; la loro eliminazione è uno scopo della civiltà, e poichè la civiltà è lo scopo della politica ecco che il conferimento a tutti della casa sufficiente è uno degli scopi della politica.
Scopi concreti, non scopi teorici: occorre esigere una politica sociale concreta, non di principii. Solo una politica sociale concreta può unire gli italiani.
Di fronte alla disoccupazione che può essere eliminata solo da un enorme impulso di lavoro, di fronte ad una situazione disperata in fatto di abitazioni civili è possibile che esista chi non voglia contribuire con la più appassionata partecipazione a quella grande impresa nazionale che è la casa a tutti?
Costruire non ricostruire! Non si tratta di ricostruire come era e quel che era, non si tratta di raggiungere la quota di prima. Già nel 1931 mancavano 6 milioni di vani per arrivare ad una quota d’abitabilità "civile".
Ora con le distruzioni, col deperimento degli stabili, con l’accresciuta popolazione (dal’31!), e con l’esigenza di una civiltà sociale che la guerra ci ha posto dinanzi alle coscienze occorre proporci la costruzione in dieci, in vent’anni,  di 20 milioni di vani, occorre proporci di far scomparire quel 72% di affollati e sovraffollati.
COSTRUIRE NON RICOSTRUIRE.
Questa è la politica che il popolo italiano invoca e che la civiltà esige. Queste sono le opere che debbono impegnare il lavoro italiano.
I lavoratori debbono operare per sè, per la propria famiglia, per i figli, per la felicità delle generazioni venture. Questa deve essere la politica, l’idealità che deve unire la Nazione.

This entry was written by gt, posted on 1 Agosto 2006 at 19:30, filed under Architettura, Biblioteca, Riviste. Leave a comment or view the discussion at the permalink.


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