Casa del Balilla, Bolzano (1932-1933)
Da Ventimiglia alla perduta Zara: ecco un grappolo o, per meglio dire, un nutrito fascio d’eccellenti case Balilla, seminate nello spazio dell’Italia che fu, in sei anni appena. V’è da diventar curiosi, importandosi più a fondo dei facitori, i misconosciuti Francesco Mansutti & Gino Miozzo. Non a torto Marco Mulazzani, curatore del volume, se n’è interessato sin dalla tesi.
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, posted on 23 Gennaio 2007 at 19:29, filed under
Schermata di Archicad versione 10
Graphisoft ha recentemente messo in vendita la nuova versione di ArchiCAD (per la precedente, cfr. GdA n.25), software nato oltre vent’anni fa e giunto alla decima release. Si tratta di una revisione importante, uno dei rilasci più corposi il cui sviluppo s’è protratto, significativamente, per circa due anni e che ingloba molte nuove caratteristiche ed apprezzabili migliorie rispetto ai pacchetti precedenti. (altro…)
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, posted on 16 Dicembre 2006 at 16:40, filed underAndrea Palladio, Villa Saraceno a Finale di Agugliaro (VI)
La costruzione dell´autostrada Valdastico Sud potrà ricominciare: ciò grazie alla decisione del Consiglio di Stato del 14 ottobre us che ha valutato positivamente il ricorso della Regione Veneto, società autostradale Brescia-Padova ed amministrazioni locali.
Il blocco risaliva al 31 maggio scorso: in virtù di una sentenza del Tar Veneto, era stata accolta l´istanza di varie associazioni deploranti, fra l´altro – cfr. GdA 31, luglio/agosto 2005 p.23 –, il fatto che l´infrastruttura avrebbe sfregiato irrimediabilmente molte preziose fabbriche, ed in particolare villa Saraceno di Andrea Palladio.
« È stata una grande vittoria e la soddisfazione è tanta perché quest´opera è indispensabile per lo sviluppo del nostro territorio », afferma il competente assessore provinciale vicentino; gli fa eco il presidente della provincia di Padova: « la fiducia nella giustizia ha premiato l´interesse di tutti », rincalzato appena in coda dal presidente dei potenti industriali berici « la ripresa dei cantieri è davvero un´ottima notizia per tutto il sistema regionale e per l´economia di casa nostra ». Sul fronte opposto, un´altro presidente, quello del comitato contrario alla costruzione parla di « una doccia fredda, uno shock terribile, una presa in giro ».
Sullo sfondo, silente, occhieggia la sindrome da capannoni, depressione – pare accertato – rampollante dalla bruttezza dell´intorno, come teorizza Francesco Vallerani, docente di geografia alla veneziana Università Cà Foscari. In sintonia, ad esempio, con le affermazioni d´uno scrittore del calibro di Andrea Zanzotto, che parla non solamente di fabbricati industriali ma d´una malsana idea di strutturare il territorio in squallidi agglomerati d´abitazione.
Del paesaggio italico – indiscutibile ricchezza economica – nonostante la pletora di leggi per la salvaguardia, già molto è irrimediabilmente perduto. In questo, come in altri casi, resta il vedere se continueremo a scrutare immobili. Lì, sulla porta. Ancora una volta indifferenti.
Gabriele Toneguzzi
Articolo pubblicato su Il Giornale dell’Architettura, novembre 2006
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, posted on 12 Dicembre 2006 at 12:11, filed under
Spazio no. 7 1952-1953, p.21
(Cliccare: galleria di sette immagini)
Je me propose ici d’étudier certaines formes quant à leur rapport avec l’espace ambiant.
Une colonnade n’est pas uniquement un ensemble d’éléments verticaux dressés suivant des lois formelles et techniques; elle, régit également l’espace contenu entre ces éléments et engendre autour d’elle certains effets esthétiques dans l’atmosphère ambiante. Dans le temple de Poséidon, à Paestum, l’espace est étreint souverainement entre ces vies verticales que Valéry a appelées: «radieuses égales». (altro…)
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, posted on 6 Dicembre 2006 at 18:23, filed under
Guido Modiano Padiglione della stampa, Quadrante n.2
PADIGLIONE DELLA STAMPA (V triennale 1933, ndr)
La mostra della stampa alla Triennale costituisce un equivoco come programma d’esposizione e una occasione mancata come attuazione pratica. L’equivoco è annunciato nello stesso titolo, che autorizzava i grafici a sperare in una mostra sinceramente dedicata alla loro arte, come ad una delle arti minori. Invece per il direttorio, stampa è principalmente sinonimo di « giornale »: cosa che con l’arte grafica ha niente di comune, perchè il giornale, nel caso nostro, è considerato sotto la specie politica e lirica. (altro…)
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, posted on 29 Novembre 2006 at 00:39, filed under
Notre Dame de l’Arche d’Alliance, Paris
(Cliccare: galleria di undici immagini)
XVème arrondissement, 71 rue d’Alleray.
Vaugirard. Esco dalle budella della città, mentre le nari me ne rimandano ancora i nauseabondi effluvi.
Rue d’Alleray. Cinque… dieci… venti… trenta… trentasei… quarantatre. Snocciolo numeri che sembro Figaro; cerco un diavolo di fabbrica, e non riesco a trovarla. Dovrebbe esser qui; piccola come un ago, se c’è, non è! Sto per scassarmi: dopo la magra sorpresa di stamane, il cantiere attaccato con una fettuccina al parvis de la Défense, m’attendo – vada bene – qualcosa di simile. Le facciate lasciano spazio ad un varco… ecco: ottantuno! Finalmente, dopo averla vista, condensata in maquette, alle Zitelle, l’ho innanzi.
Cum animam gementem, contristatem et dolentem: NON è nera! Marron, d’un marron che rimembra poco edificante altro. L’oscuro cubo avrà spaventato il cardinale? Qui s’ammicca al santuario dell’Islam!
Qualsivoglia il motivo è, ahimé, certo non poca perdita, la tinta.
Lo scheletro esterno, la griglia, ipotetico tramite, dissolvenza tra sacro e profano sarà dipoi, a casa, tema d’un inedito, personale Aguzzate la vista: quarto livello dal basso, manca il terzo montante da sinistra.
Forse il desiderio di attenuare l’eccesso d’ordine, una boutade, come la finestrella ruotata nel reticolo, Quinta da Lago, Souto de Moura.
Ruoto la testa d’impiedi e rimetto ritto, come meglio mi garba, il sesto degli esili fusti d’acciaio: allineamenti visivi in gran copia; una sorta di pioppeto metallico.
Legno di rivestimento esterno previsto: sostituito. Succedaneo, pannelli in HPL, laminato ad alta pressione. Ave Maria impressa in caratteri gialli fitti sulla superficie, intelligibile solo gran dappresso. Altro rimando all’Islam…
Scalinata. La sorte mi assiste. Nuvole vanno e, adesso, vengono; scatto, leggermente sottesposto. Produco, casualmente, quel che avrebbe dovuto esser vera faccia: uno scorcio scuro.
Entro. Croce, croce, croce; croce 3D scavata nel cubo, croce incavata sul parterre, finestroni a croce, croce proiettata sull’abside e griglia crociata di delimitazione.
Dimentico della vera Croce, quale croce dimentico? Ah, quella minuscola reiteratamente incisa sul rivestimento interno; se è via crucis, veramente brutta è.
Croce sull’oculo. Gli piazzo sotto la reflex: paura d’abbruciare il film. Sottoespongo nuovamente. Ottengo una croce in più, inesistente, sulla griglia del sancta sanctorum. Potenza della Luce!
Dintorno non si scorge centimetro d’intonaco, se non attraverso pannelli a lamelle. Neon incassati a terra riverberano sui quattro cantoni, enfatizzandoli.
Muri e soffitto, tutto è Hpl (laminato ad alta pressione), come all’esterno, ma senza scritte. Nessun decoro. Molto è bellamente essenza.
Abside. Tabernacolo cruciproiettore, lampada votiva; tavolaccio-sedile, il coro. Altare: nettissimo parallelepipedo immacolato in Carrara. Candelieri: tre snelli cilindri d’acciaio, incassabili sinistra/destra sul pavimento ch’è ardesia, a spacco. Illuminazione: impercettibili terminali in fibra ottica, piazzati sotto bordogriglia, rischiarano la mensa. Ambone, o per meglio dire leggio, distante dalle equazioni canoniche. È acciaio, sospeso ed agganciato lateralmente ad un montante, provvisto anch’esso della brava crocetta.
Exsultate, jubilate? Via, no… ma il catino è ensemble eccellente, forse la parte più riuscita del tempio.
Tribune ai lati; passerelle sospese destinate ad accogliere opere d’arte?
Avanti, i finestroni – adduttori di troppa luce –, spero non abbandonati. Anzi. Piuttosto destinati alla primitiva finitura in alabastro, col Verbo traslucido impresso. Amen!
Nuovamente attrattovi, passo sopra la croce incavata nel pavimento; intravedo il fonte battesimale che si guadagna tramite la ripida scaletta, racchiusa da lastre vetrate sorgenti di sotto in su.
Muove sulla diagonale, la scala; parte, eccentrica, verso il vertice del quadrato opposto al fuoco sacro e si distende contemporaneamente in basso; risvolta su d’un pianerottolo triangolare arrivando, sdoppiate e sparse le ultime quattro alzate, nella spoglia aula dell’iniziazione.
Sulla fonte, scolpite fronte, fonti corpo vario invitano all’antifona d’entrata: « Dans le nom du Père… »
Fuori, dodicicolonne/dodiciapostoli/dodicitribùd’Israele abbracciano del battistero la cinta, sostenendo un cubo sopraelevato, il cui liscissimo estradosso inferiore, sbalzando, si raccorda alle altre facce tramite l’inefficace cornice a dentelli. Consunta memoria wrightiana?
Progetto, date contraddittorie; chi indica 1986 chi 1988. Ho null’affatto voglia di controllare. M’importa più sapere sia stato realizzato ben dieci anni dopo, a distanza di trent’anni (lasso temporale eloquente) dall’ultima consacrazione d’un nuovo edificio di culto dans cette ville.
1992: Pierre Vérot e Franck Debié: «Il progetto di Architecture Studio sfiora quasi il ridicolo moltiplicando i simboli […] che saturano lo spazio senza alcuna utilità autenticamente discesa dalla tradizione e dai bisogni della Chiesa»
No, di sposare questo giudizio, in gran parte, non me la sento.
Per esempio, WAM: KV 317, Krönungs-messe. Gloria; soprano, alto, tenore e basso saturano, al Domine Deo, lo spazio sonoro intonandone contemporaneamente le diverse parole, moltiplicandole, sfasandole, sovrapponendo voci, rendendo ridondanti e, teoricamente, incomprensibili… proprio i simboli. Eppure, a sentire, così non è.
È Architettura. Sacra.
In somma delle somme, fra molte chiese dall’aria dozzinale, ecco, ritratta, Notre Dame de l’Arche d’Alliance.
Ventiequaranta: ci si stacca da Roissy, fra stuoli di lepri indifferenti.
Avanti Le Bourget, il gallico capitaine fa gracchiare gli altoparlanti: « Voici, a votre gauche il y a le Stade de France où hier nous avons gagné… ». Appena in là, prima di tagliare la città, ecco l’Arche, stavolta battezzata Grand.
Coin est Cnit, appoggiato al parvis il puntino che attendevo: la gru già vista dal basso, segnale d’una prossima, promettente visita.
14 luglio 1998
Gabriele Toneguzzi
La Cité Celeste dessine un carré
Alors, l’un des sept Anges aux sept coupes remplies des sept derniers fléaux s’en vint me dire: « Viens que je te montre la Fiancée, l’Epouse de l’Agneau. » Il me transporta donc en esprit sur une montagne de grande hauteur et me montra la Cité sainte, Jérusalem, qui descendait du ciel, de chez Dieu, avec en elle la Gloire de Dieu. Elle descendait telle une pierre très précieuse, comme une pierre de jaspe cristallin. Elle est munie d’un rempart de grande hauteur pourvu de douze portes près desquelles il y a douze Anges et des noms inscrits, ceux des douze tribus des fils d’Israël; à l’orient, trois portes; au nord, trois portes; au midi, trois portes; à l’occident, trois portes. Le rempart de la ville repose sur douze assises portant chacune le nom des douze Apôtres de l’Agneau. Celui qui me parlait tenait une mesure, un roseau d’or, pour mesurer la ville, ses portes et son rempart; cette ville dessine un carré: sa longueur égale sa largeur. Il la mesura donc à l’aide du roseau, soit douze mille stades; longueur, largeur et hauteur y sont égales. Puis il en mesura le rempart, soit cent quarante quatre coudées. […] De temple, je n’en vis point en elle; c’est que le seigneur, le Dieu Maître de tout, est son temple, ainsi que l’Agneau. (Ap 21, 9-17.22)
La Gerusalemme Celeste/la Gerusalemme messianica
Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: « Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello. » L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. (Ap 21, 9-17.22)
Sta in: Architetti PD, 2000
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, posted on 17 Novembre 2006 at 20:30, filed under
Carlo Scarpa disegno di una teca per le Gallerie dell’Accademia, Venezia
(cliccare per aggrandire l’immagine)
L’incontro di fresca data su vetrine museali e ambienti controllati, organizzato dall’Istituto Centrale per il Restauro, svoltosi a Ferrara nell’ambito dell’edizione appena conclusasi del Salone del Restauro, offre più d’uno spunto di riflessione. Contrariamente al passato, in cui le bacheche erano concepite a mo’di semplici contenitori protettivi, le teche museali e più in generale gli ambienti protetti, hanno subito un’evoluzione trasformandosi in macchine vieppiù complesse.
Il Decreto Ministeriale del 10 maggio 2001, atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei ha stabilito, fra l’altro, una serie di norme tecniche sottolineando l’importanza dei fattori ambientali per la corretta conservazione di qualsivoglia reperto. Da ciò discende una speciale considerazione degli ambienti confinati, particolari porzioni che devono garantire in modo ancor più stringente peculiari qualità del microclima, controllo dei flussi luminosi e molto altro. Pure, alla bisogna, far fronte ad eventi straordinari, come incendi o terremoti: recentemente sono state avviate sperimentazioni a tal proposito, realizzando all’uopo appositi raccoglitori.
Molte brillanti soluzioni di problemi pratici, per quanto bizzarro possa apparire, a volte sono mutuate da tecnologie adottate in settori industriali alquanto distanti dall’ambito espositivo: ad esempio, la custodia in atmosfera controllata è pratica derivata anche dalle tecniche di conservazione della frutta; proseguendo nell’esemplificare, in altri casi, la meccanica di grandi aperture deriva talvolta dai sistemi di guida adottati per le porte dei vagoni ferroviari, etc. Purtroppo però, la crescente sofisticazione genera nuove preoccupazioni che riguardano vuoi l’affidabilità del complesso d’apparecchiature, vuoi la loro manutenzione: in caso di banali guasti la cronica carestia di denaro che affligge il settore potrebbe originare situazioni estremamente difficili da gestire. Cosí come eventuali trascuratezze o negligenze. Perciò, tenuto conto di queste ipotesi tutt’altro che improbabili, sarebbe raccomandabile limitare la costruzione di apparati complessi a circostanze molto speciali.
In parecchi casi, si riuscirebbe ad evitare la costruzione d’involucri costosi e delicati grazie all’accurata conoscenza preliminare dei dati ambientali generali e particolari delle zone dell’edificio deputate a raccogliere le collezioni, campionati con rilievi circoscritti a periodi stagionali strategici. Sovente si potrebbero individuare e correggere a priori criticità banali, come squilibri termici localizzati, evitando di dover tamponare in seguito, solo grazie a costosissime acrobazie, delle falle macroscopiche.
Malauguratamente, quel ch’è ovvio non è detto sia cosí evidente: pure in famose quadrerie di risistemazione relativamente recente, ad esempio la Galleria dell’Accademia di Firenze, si può osservare come l’impianto di climatizzazione, mediante le bocchette terminali, insufflerebbe aria direttamente sulla superficie dei dipinti, non fosse per un ingegnoso intervento correttivo a posteriori da poco realizzato, una sorta di leggio didattico, allo stesso tempo distanziatore, base d’appoggio per i quadri e deviaflussi.
Relativamente alle effettive pratiche di conservazione, nonostante siano passati oramai cinque anni dall’emanazione del decreto di indirizzo, la situazione generale nei musei è, ad oggi, tutt’altro che delle migliori: interrogati con un apposito questionario, gran parte dei conservatori, pur avendole grossomodo chiare, non è in grado di attuare le norme previste se non in misura parziale, usualmente a motivo della sempre più scarsa disponibilità di risorse.
Anche il futuro non sembra roseo: come ha avuto modo di scrivere Ermanno Guida su questo giornale (cfr. GdA 38, marzo us) nella pletora di bandi di gara per i nuovi arredi destinati agli allestimenti sovente trionfa l’approssimazione. E ciò è ancor più grave, vista l’inveterata penuria di fondi.
Articolo apparso su Il Giornale dell’Architettura, sezione musei, Giugno 2006
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, posted on 16 Novembre 2006 at 10:51, filed under
Copertina del volume Opere Pubbliche, 1932
Attilio Calzavara: un architetto del regime non allineato
Immaginate d´essere ministro dei lavori pubblici d´un governo autoritario e dover commissionare un´importante pubblicazione celebrativa per magnificare dieci anni d’attività del vostro dicastero e del regime nel campo delle opere pubbliche. (altro…)
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, posted on 14 Novembre 2006 at 00:21, filed under
Questa è opera (versione low-res) di Mariacarla A. e Veronica N.; qualche piccola sbavatura ed imperfezione. Ma il risultato sembra digià buono. Ora pensate alla Fenice!
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, posted on 12 Novembre 2006 at 00:12, filed under
Luigi Figini casa al villaggio dei Giornalisti, Milano 1933-1934
(cliccare sull’img per aggrandire l’anaglifo)
Questo è l’anaglifo (visione stereoscopica 3D apprezzabile con gli occhiali rosso/ciano) di casa-colle-zampe, come l’ha opportunamente battezzata R.; ecco il modello fotografato durante una visita didattica cogli studenti del corso Iuav-ClasVem, ieri entro la biblioteca del Mart, a Rovereto, che pure custodisce l’archivio dei Figini-Pollini.
Una casa su pilotis come Villa Savoie (1929-1931) « Si compone di due piani abitabili e di un sottoportico aperto, sotto il quale si prolunga il giardino. La pianta della casa, con forma rettangolare allungata, è orientata secondo la direttrice nord nord-est e sud sud-ovest e tutte le aperture sono disposte e dimensionate in funzione di una ottimale esposizione. Il sottoportico e i pieni e i vuoti soprastanti sono legati fra loro da rapporti armonici semplici. Un modulo costante determina le dimensioni sia in altezza che in orizzontale ». (brano tratto da Quadrante 31-32, 1935)
Qui sotto, il prospetto in una foto d’epoca: Potrete trovare ancora (però soffocata dall’attuale contesto) la casa a Milano, presso il csd. Villaggio dei giornalisti, in Via Perrone di San Martino
Piante e sezioni
Vista dall’alto
Foto dello stato attuale (fonte: Meam Net)
Esterno
Interno
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, posted on 9 Novembre 2006 at 12:42, filed under