Allen Ginsberg, San Francisco, 1965: scatto di Ettore Sottsass
Di Ettore Sottsass junior, è stato esibito, scritto e detto già tantissimo, anche molto recentemente. Non è facile aggiungere qualché d’orginale, pur se l’occasione (il novantesimo genetliaco) in teoria lo richiederebbe.
Un’altra mostra s’aggiunge alle altre e cerca di farsi largo, come il volume a corredo, tentando di riverberare le mille sfaccettature dell’interrogativo, apparentemente banale, «Vorrei sapere perché». E pur io, attratto dalle sirene evocate dalla domanda, il 5 dicembre m’aggiro a caccia di qualche risposta nel Salone dell’ex Pescheria di Trieste, sorta d’animale imbalsamato, fra l’altro preso a prestito per qualche scena da Francis Ford Coppola per ‘Il Padrino parte II’.
In giro, quasi nessuno; due persone risistemano le ultime didascalie dell’inauguranda esposizione. Ad un primo colpo d’occhio, l’allestimento sembra schiacciato dalla mole del grande volume. Nel generale silenzio si sentono delle voci, anzi: una voce sola che parla simultaneamente di cose diverse, proveniente da diversi settori. È quella di Sottsass, presente in ogni sezione. Ci sono degli oggetti: alcuni grandi, alcuni piccoli, alcuni molto noti, alcuni meno noti, alcuni entro parallelepipedi colorati aperti, alcuni entro parallelepipedi chiusi. Hanno punti di vista interni ed esterni. Uno dei primi spazi alberga delle foto. Sullo sfondo, il simulacro rosso d’un’elementare casetta chiude la prospettiva. Il suo interno rivela un contenuto architettonico fatto di maquettes, perlopiù assemblaggi di piccoli solidi realizzati con marmi policromi, pitture e foto d’edifici.
«Vorrei sapere perché», risuona nuovamente l’interrogativo: sono oggetti impegnativi, presenze ingombranti messe assieme, per scelta, senza i precisi criteri d’una mostra didascalica. Piuttosto, lo scopo è quello, dichiarato, di creare delle emozioni.
L’ora mi vede dove non dovrei essere: decido quindi d’incamminarmi verso il vicino museo Revoltella, ove sta iniziando la conferenza stampa. Ettorino, come Lisa Ponti ha il privilegio di chiamarlo, pur evocato non c’è. Comprensibilmente. L’auditorium formicola d’astanti. Qui è difficile, come opportunamente scrive l’associazione ‘Terre d’Arte’, «spiegare perché un vaso di vetro non è un vaso di vetro». Da tante parole, emozionate ed anche sincere, non riesco però a trarre, io, una vera emozione; rispetto, di certo per il lavoro, per tanto lavoro altrui. Ma non mi basta.
Rientro a casa vinto, le pive nel sacco. Insiste però nella mia testa l’interrogativo, ossessivamente, come la goccia nel film di Bergmann: «Vorrei sapere perché». Indi, non pago, scartabello nuovamente, dopo tempo, degli scritti del Nostro, in modo poco più che casuale, compulsivamente e perennemente appostato, come alla ricerca d’una preda. Inconsapevolmente, un brano dopo l’altro, mi perdo nel leggere, quasi cercando il bandolo di un romanzo giallo. Avviluppato dai racconti e dallo stile asciutto riscopro, con trasporto, soprattutto vicende lontane: l’apertura della Fiera (1947), gustosa e puntuale cronaca; grafica popolare (1955), uno sguardo attraverso le ormai tramontate carte d’arancia; opinione sul disegno industriale (1955), sottili considerazioni ancor attuali; Pop e non Pop (1964), affresco d’una corrente artistica da noi, allora, quasi sconosciuta, con una descrizione dell’allor giovine Michelangelo Pistoletto e un mirabile tratto della Torino d’epoca; viaggio in occidente nr.I (1966), racconto dell’atmosfera che si respirava allora nella West Coast; quando ero piccolissimo (1973), interessanti racconti d’infanzia; Roberto Olivetti (1988), ricordi di un’epoca appassionante e perigliosa dell’Industria italiana, dell’incerto passaggio dall’analogico al digitale. Ecco infine qualche risposta a parecchi «Vorrei sapere perché». Illustrano esperienze uniche e dan conto di molte conoscenze rivelatesi assai utili, spesso indirettamente, nell’intensa vita professionale (e non solo): conoscenze certo infinitamente più utili di quelle virgolettate. Usuali. Grigie. Tristissime.
Gabriele Toneguzzi
Articolo apparto su Il Giornale dell’Architettura-Giornale del design, Gennaio 2008 ed intervista a Rai Radio3 Suite del 10 dicembre 2007
«Vorrei sapere perché». Una mostra su Ettore Sottsass
Trieste, Salone degli Incanti dell’ex Pescheria (Riva Nazario Sauro)
6 dicembre 2007 - 2 marzo 2008
Orario: 10.00 - 19.00, chiuso il martedì, 25 dicembre e 1 gennaio
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, posted on 1 Febbraio 2008 at 07:04, filed under