Gabriele Toneguzzi

Storia, studi, visioni dell’interaction design

Un esempio di processo per l’ipotesi di sviluppo di un dispositivo tattile
Un esempio di processo per l’ipotesi di sviluppo di un dispositivo tattile

Capita quasi giornalmente a tutti noi di battagliare, sovente senza successo, con qualcuno della miriade degli oramai irrinunciabili dispositivi che costellano la nostra esistenza. Operazioni banali sul nostro cellulare o l’impostazione di qualche funzione in un televisore esigono a volte impegno e attenzioni degne di miglior causa. Quelli che dovrebbero essere atti quasi inconsapevoli si mutano cosí in cervellotici e irritanti percorsi a ostacoli nel tentativo di trovare una chiave di funzionamento. E se l’acquisto di un prodotto passa senz’altro attraverso un esame generalmente approfondito relativo al suo aspetto esteriore, molto più difficilmente sono valutate, o addirittura nemmeno prese in considerazione, le sue fondamentali caratteristiche interattive. Sono peculiarità riguardanti ogni tipo d’oggetto, dal più umile e più semplice al più raffinato e complicato, con interazioni che possono essere meccaniche o elettroniche, elementari o complesse, reali o virtuali. In tal senso, la conoscenza e lo studio attento del recente passato potrebbero giovare parecchio ai designers: a questo deve aver pensato il britannico Bill Moggridge, progettista nel 1979 del primo laptop computer e in seguito, negli anni novanta, co-fondatore dell’Ideo: un’autorità nel campo. Dopo aver contribuito a definire il movimento che ha dato origine a una nuova disciplina del progetto chiamata interaction design, s’è premurato di tratteggiarne uno studio sfociato nella realizzazione del volume e del Dvd Designing interactions, recentemente edito da The MIT Press. Si tratta d’un libro che mette a fuoco proprio questi problemi, già a partire dall’introduzione, col racconto di un aneddoto significativo delle peripezie trascorse dall’autore quando, nel 1983, dovette concentrarsi per più di venti minuti sul nuovo orologio del figlio all’esclusivo scopo di programmarne la sveglia.

Esemplificando, nel caso del computer, se per un verso è molto semplice immaginarlo come entità materiale, dall’altro, pochi si rendono conto dell’importanza della proiezione della realtà nello spazio virtuale, oltre lo schermo. La creazione di questo particolarissimo ambito è stata il portato di un lungo lavoro, iniziato pressoché dal nulla, passo dopo passo, a partire dalla trasposizione di schemi mentali sempre più raffinati. Come la nozione di desktop, mutuata dalla realtà fisica. E poi le finestre, i menù, le barre di scorrimento, il concetto di taglia e incolla, le metafore delle operazioni d’archiviazione. Rimanendo ancora nel campo del computer, altro duro compito è stato quello dell’ideazione ed evoluzione dei dispositivi fisici, in particolare del mouse (presentato per la prima volta a una conferenza nel lontano 1968), con le opportunità offerte dall’astrazione e pure dalla replica di comuni azioni.

Di fronte all’eccesso di tecnologia e la proliferazione di funzioni l’interrogarsi dei progettisti delle interazioni si sta oggi spostando verso la ricerca della semplicità facendo scaturire nuovi e non banali approcci nella risoluzione di esigenze collettive. La portabilità, la miniaturizzazione dei dispositivi e la loro integrazione all’interno d’altri apparecchi (primo fra tutti il telefono mobile) ha aperto altri fronti di ricerca. Ovviamente, i temi nel campo dell’interaction design sono molteplici ma, fra tutti, uno dei più affascinanti è quello dei giochi, poiché il loro successo è legato alle dinamiche dell’interazione, che deve risultare facile, con tempi quasi immediati, oltre che attraente. Per contro, la creazione di un prodotto di facile usabilità richiede infinite prove e altrettanto impegno. Un impegno che in questo libro (meriterebbe senz’altro di trovare un editore italiano) traspare dalle interviste a personaggi in molti casi straordinariamente importanti nel settore; parlano delle proprie esperienze e di quello che hanno realizzato, sono noti per gli addetti ai lavori ma sconosciuti ai più, gli stessi che quotidianamente traggono beneficio dalle loro lungimiranti intuizioni, nella prospettiva di poter collegare, forse un domani, lo spazio virtuale direttamente al loro pensiero.

Gabriele Toneguzzi

articolo apparso su Il Giornale dell’Architettura (Giornale del Design), Giugno 2007

Designing Interactions
Bill Moggridge Designing Interactions
The Mit Press, Cambridge 2006
pp. 700, Dvd video incluso, 39,95 $

This entry was written by gt, posted on 19 Luglio 2007 at 16:34, filed under Articoli/scritti, Biblioteca, Digital life, Industrial design, Multimedia, Recensioni, Tecnologia. Bookmark the permalink. Follow any comments here with the RSS feed for this post.

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