Guido Modiano Padiglione della stampa, Quadrante n.2
PADIGLIONE DELLA STAMPA (V triennale 1933, ndr)
La mostra della stampa alla Triennale costituisce un equivoco come programma d’esposizione e una occasione mancata come attuazione pratica. L’equivoco è annunciato nello stesso titolo, che autorizzava i grafici a sperare in una mostra sinceramente dedicata alla loro arte, come ad una delle arti minori. Invece per il direttorio, stampa è principalmente sinonimo di « giornale »: cosa che con l’arte grafica ha niente di comune, perchè il giornale, nel caso nostro, è considerato sotto la specie politica e lirica.
Quale apporto provenga da questa attività all’assunta dell’arte decorativa moderna, chiunque può vedere da sè: e a chi si meravigli di avvicinamenti tanto strani, basterà ricordare in quale conto sia tenuta l’arte grafica, tra noi, in fatto di esposizioni e di comprensione, e quali risultati si ricavino da tale atteggiamento.
L’esperienza di Monza 1930 non ha servito. In quella occasione la mostra grafica è stata pretesto per esercitazioni spiritose di « architetture metafisiche », cornice esuberante a un contenuto melanconico; a Milano, l’ambiente non è più adatto di allora alla presentazione di stampati e in più la mostra ha servito a manifestazioni che per l’arte grafica sono irrilevanti.
Recriminabile fatto, perchè, anche senza voler sopravalutare la tipografia, non si può disconoscere la necessità della sua coerenza col gusto dell’epoca e delle altre arti, per la forza propagandistica che è contenuta nella sua universalità.
Il direttorio stesso ha mostrato di averlo inteso, sforzandosi di dare agli stampati e alla propaganda della Triennale un aspetto « alla giornata »: se poi gli uni e l’altra hanno tradito l’intenzione, con le loro attuazioni di gusto, diciamo, dubbio, l’importanza deI riconoscimento non ne viene diminuita.
In sott’ordine a questo, due fatti imponevano una sezione seria, competente dedicata all’arte tipografica: – la rarità, in Italia, di mostre grafiche organiche e rigorose; l’essere la tipografia nuova, sempre in Italia, troppo lontana da quella maturità che sola potrebbe legittimare un disinteresse propagandistico.
Ammesso, sebbene non sia facile ammetterlo, che si fosse ritenuto giovevole e logico inserire in una « sagra » dell’arte decorativa la mostra del giornale, per rinnovare il fatto di Colonia e Barcellona (ricordare: si è trattato allora di due mostre ben diverse, una tecnica del ramo, l’altra supremamente eclettica – riflettere su quanto abbia perduto in efficacia la propaganda politica di allora, quest’anno XI, con la Mostra della Rivoluzione aperta e nel clima filo-fascista dell’Europa) si sarebbe dovuto evitare ogni equivoco: al giornale ed alle manifestazioni che ne derivano, l’intero padiglione di Baldessari; all’arte grafica, anzi alla tipografia, matrice di tutte le altre « arti » grafiche, uno spazio conveniente nella mole muziana.
Nel pasticcio del Padiglione della Stampa, la tipografia rimane in sott’ordine e si vede tolta la sua autorità.
Dobbiamo concludere: ignorare quest’arte « minore » sarebbe stato preferibile al presentarla in modo tanto poco coerente con la sua importanza e con l’apporto che all’arte decorativa può provenirne.
Su presupposti programmatici di questa consistenza, erano impossibili delle attuazioni pratiche documentate sulla tipografia attuale. Difatti la mostra è una copia mediocre delle solite mostre: a parte il fatto dell’irrazionalità architettonica, della illuminazione insufficiente dove (mostra della fotografia) non è addirittura contraria.
Si è dimenticato che la tipografia nuova, in Italia, è ancora in una fase polemica: che la situazione grafica nel 1933 è quella dell’architettura nel 1928-29. Eppure bastava richiamarsi ai due assunti della Triennale – risposta documentata ai negatori di uno stile deI nostro secolo; opera di propaganda sulle masse e di coordinazione dei produttori – per inquadrare con la maggiore evidenza programma e attuazione della mostra che ci interessa.
Tipografi d’ avanguardia con esemplari lavori, presentati genere per genere – attuazioni moderne di stampati d’uso comune, con i prodotti correnti accostati alle nuove interpretazioni, mediante accorgimenti grafici che rendessero chiari a tutti le ragioni ed i risultati della tipografia nuova: pagine di cataloghi come sono e come dovrebbero essere, pagine di riviste neoclassiche e pagine di gusto vivo.
Altro indice dell’impreparazione, è l’assenza di una mostra dei caratteri: elementi essenziali nella tipografia ed interessantissimi come dimostrazione di tendenze, perchè le fonderie hanno una sensibilità acuta dei bisogni moderni e creano per tempo i tipi nuovi. Un invito chiaro, concreto: e le fonderie avrebbero mandato molto materiale, anche appositamente studiato in quei loro reparti preparatissimi, per valore di collaboratori ed efficacia tecnica, allo studio delle estetiche grafiche e delle intelligenti applicazioni dei tipi.
Inquadrata in una sezione così predisposta, anche buona parte della mostra fotografica – nella quale la scelta del materiale doveva essere condotta con criteri più rigorosi e moderni: più « grafici » – avrebbe raggiunto un significato concreto e attuale.
Riflettere sulla possibilità di accostarsi a nuove forme, a nuove idee, di documentarsi su nuovi impieghi, per quegli artisti plastici e quegli architetti che in numero sempre maggiore diventano i collaboratori della tipografia, e ai moduli tipografici sono spinti dalle direttive dell’arte attuale.
Riflettere sulla suggestione da questo mondo mal noto esercitata sopra il pubblico: committente che impone troppo spesso il proprio gusto, per ignoranza, indeciso e misoneista.
Tutti risultati raggiungibilissimi al patto che le idee fossero state chiare e annunciate a tempo opportuno.
Perchè chi sia appena al corrente della nostra situazione grafica, sa benissimo come il materiale sufficiente non si trovi nella produzione normale: ma debba essere preparato traverso inviti, incarichi, concorsi.
E come s’è stimato imprescindibile aver presenti gli architetti esteri, non v’era ra[gio]ne seria che sconsigliasse di fare altrettanto con i tipografi esteri. La Triennale doveva essere « europea » anche, e soprattutto, in quell’arte grafica che è la più europea delle arti e fra noi, la meno alla giornata. Soprattutto bisognava evitare la sezione tedesca così com’è stata attuata, per quanto rappresenta di sperequazione di materiale e d’umiliante confronto.
Con rammarico vivo si deve prendere atto di quale magnifica occasione è stata sciupata per situare l’Italia grafica, almeno come intenzioni, nel gruppo di testa delle nazioni europee: rammarico tanto più vivo, perchè questo si deve a un tremendo nemico di ogni cosa seria nel campo dell’arte: il dilettantismo.
GUIDO MODIANO
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, posted on 29 Novembre 2006 at 00:39, filed under