Quadrante I, p. 21, 1933
SITUAZIONE GRAFICA
Una tipografia rimasta estranea al movimento che sconvolge e feconda le altre arti sarebbe stato un fatto più preoccupante che curioso. Perchè essa costituisce, forse, lo strumento di maggior efficacia nella propaganda del gusto nuovo: i suoi prodotti, in tutte le ore e sotto tutte le forme, attingono ogni gradazione del pubblico e possono portare alla persuasione i cervelli dopo di avere persuaso gli occhi.
La tipografia, ramo dell’architettura, ha seguito con aderenza l’evoluzione dell’arte maggiore. Bizzarra o indecisa sul finire del periodo umbertino, di una preziosità equivoca all’epoca dell’infatuazione dannunziana, culturalista e neoclassica nel decennio del dopoguerra, oggi è razionale ed espressionistica.
Naturalmente, ogni revisione di indirizzo costruttivo eccitava le polemiche fra conservatori e revisionisti. Per questo oggi nel campo grafico i contrasti sono vivi, come nel campo dell’architettura.
Tanto più che la nuova tipografia non è una questione di impiego di nuovi, o pseudo nuovi, elementi formali sopra la schema tradizionale: ma opera in profondità, intaccando l’essenza del sistema costruttivo in atto.
Caratteristica della tipografia italiana di oggi, è il neoclassicismo derivato, con poche varianti, dalle attuazioni di quegli americani che le compostezze alla Adam, cui gli inglesi sono tenacemente attaccati, hanno reso più vive attraverso lo studio intelligente degli archetipi cinquecenteschi, particolarmente italiani.
Appunto dopo essersi ispirato a quelle attuazioni, qualche nostro tipografo più avvertito, s’è accorto di seguire copie di roba italiana. È stata una grandissima scoperta che, nella soddisfazione del fine raggiunto, ha fatto dimenticare il mezzo: la «nuova» pagina italiana vista attraverso la mentalità anglosassone; donde l’espressione «nitida» ma gelata, peculiare alla tipografia neoclassica. Così che, considerate soltanto le caratteristiche formali dello stile – quei caratteri arcaicizzanti che ci riattaccavano alle glorie della rinascenza; quei respiri dei margini ampi e cromatismi decorativi, che portano in sè elementi definiti mediterranei – sulla scorta di quelle si è ritenuto legittimo proclamare una «italianità» arbitraria dello stile neoclassico.
Basterebbe por mente al fatto che questo è stato creato per il libro, mentre non il libro ma la rivista, l’opuscolo, il catalogo, sono i prodotti caratteristici del nostro tempo, per comprendere perchè il modulo neoclassico negli impieghi moderni tanto più denuncia di essere espresso da sensibilità lontane, rivolto ad altri fini, creato per altro materiale. Gli adattamenti non sono riusciti a saldare le forme arcaiche con i bisogni della espressione e della presentazione moderne: nè la potevano, evidentemente.
La tipografia nuova sta vivendo la stessa cronaca dell’architettura nuova. Venute dopo le attuazioni straniere (di là dove un intelligente e premuroso amore studia all’arte grafica aspetti più coerenti con i bisogni attuali), le nuove costruzioni grafiche sono state definite «roba d’importazione», tanto dagli interessatissimi esponenti del neoclassicismo quanto dai loro epigoni, più pigri e meno informati.
Anche qui, i difensori della «italianità» hanno dimenticato, per esempio, che i futuristi italiani furono i primi a cercare una nuova espressione attraverso l’annullamento dello schema tradizionale: al modo stesso che gli architetti antirazionalisti avevano dimenticato Sant’Elia.
La questione di «fare all’italiana» nella tipografia è un espediente dialettico, neppure abile.
Messi alle strette, i migliori campioni di questa teoria non sanno precisare in che consistano veramente le formule «italiane»: perchè al loro buon senso non sfugge come il gusto tipografico cinquecentesco sia stato anch’essa un gusto europeo, come i suoi moduli siano inesorabilmente anacronistici, come lo stile neoclassico sia ormai una formula congelata ed inespressiva, dove il moderno è rappresentato soltanto da pennacchi postfloreali di gusto discutibile e transitorio.
Gli eccessi e le deviazioni della nuova tipografia sono le manifestazioni naturali della ricerca e del tentativo. Farne oggetto di critica è una cosa: cercarvi la stroncatura, un’altra cosa.
Per il legame che esiste fra architettura e tipografia, i tipografi 1933 possono legittimare i loro concetti con gli stessi argomenti dialettici che servono agli architetti 1933.
GUIDO MODIANO
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, posted on 1 Novembre 2006 at 20:02, filed under