Gabriele Toneguzzi

Ceci n’est pas une exposition

Battista – Pinin – Farina con il figlio Sergio ed Harlow H. Curtice Presidente della General Motors Corp.
Battista “Pinin” Farina con il figlio Sergio ed Harlow H. Curtice, presidente della General Motors Corp.

Autosalone Mart
« Mitomacchina » celebra le automobili come prodotti di contemplazione estetica a discapito della comprensione critica del fenomeno

ROVERETO (TRENTO). Il « pianeta Mart » si appresta a narrare l’epopea di un altro mito. Dopo aver celebrato quello dedicato alla Montagna (102.000 visitatori nel 2003-2004) ora è la volta dell’automobile, rivoluzionario prodotto industriale del Novecento e incontrastato oggetto del desiderio dal forte richiamo estetico.

Accattivante nel titolo e nel tema, l’esposizione sembra rivolgersi al grande pubblico e, nei dichiarati intenti, dovrebbe accostare la scientificità di un progetto di ricerca alla contaminazione di ambiti diversi. Tuttavia, invece d’indagare nel dettaglio le implicazioni tecniche, sociali, economiche, ambientali legate al microcosmo dell’auto, i curatori (tra cui studiosi come Maldonado e designer direttamente « interessati » come Pininfarina e Giugiaro) di fatto sembrano puntare all’estetizzazione degli oggetti selezionati, esaltandone il valore iconico e privilegiando la mera contemplazione estatica rispetto alla comprensione.

L’allestimento di Pierluigi Cerri distribuisce in modo piatto, privo tanto di gerarchie quanto d’originalità, circa settanta vetture all’interno delle sale, con soluzioni non sempre felici nella disposizione spaziale: il semplice parcheggio di più esemplari sulla stessa inarrivabile pedana o il loro accostamento alle pareti ne impedisce in svariati casi l’indispensabile visione a tutto tondo. La suddivisione, ai criteri cronologici preferisce quelli tipologici (la berlina, la spider, l’utilitaria, la monovolume, la gran turismo) e tematici (l’aerodinamicità, le prestazioni, i prototipi, l’ecologia). Sui muri l’indispensabile apparato grafico esplicativo spesso difetta anche in qualità tecnica di riproduzione e trascura, quasi completamente, la storia dell’automobile, dei modelli, l’evoluzione di parti meccaniche, carrozzerie, accessori, linee di montaggio, stabilimenti, case produttrici. Restano escluse le implicazioni sociali, la vicenda d’infrastrutture e servizi e dell’evoluzione dell’auto in rapporto agli altri mezzi di trasporto. E, ancor più inspiegabilmente, è assente la relazione con l’arte, non fosse altro che col futurismo e le avanguardie del Novecento, di cui il MART è vestale niente affatto secondaria. I disegni, a grande e piccola scala, sono generalmente muti e orfani di convincenti descrizioni: come fa un visitatore, digiuno di disegno tecnico, a districarsi in una sequela di rappresentazioni proiettive? Sovente si tratta di grafi sintetici iterati, di certo potenzialmente molto interessanti ma bisognosi d’una decodifica, pena l’inutilità (o il mero effetto di tappezzeria decorativa). Pure gli audiovisivi, pescando in un contesto infinitamente ricco, al di là di spezzoni di film da citare doverosamente, non brillano per originalità. Più grave, nelle ultime sale, la presenza d’un video simil-promozionale recentissimo, destinato molto probabilmente a una delle tante stucchevoli trasmissioni televisive che spacciano pseudo-novità.

Non di pubblicità sfacciata e di trailers aziendali abbisognano un museo e una mostra, soprattutto se sono presentati acriticamente. A questo proposito, va detto che ogni marchio blasonato dispone d’un patrimonio archivistico notevole, e mostrarlo è un fatto in sé positivo: ma non come s’è fatto qui per un celebrato sponsor, contrabbandando alcune riproduzioni di qualche suo vecchio manifesto, appiccicate alla bell’e meglio fuor di mostra e prive di didascalie, come contributo all’insieme. E neppure il lavoro di certe scuole (o di certi studenti) meritava di essere esposto nell’interrato attraverso un tristo defilé di pannelli arrangiati: se non era ritenuto all’altezza, allora non doveva esserci. Così come molto altro in mostra, che sembra inserito a forza e a onta dello spazio e della sua reale rappresentatività.

Neppure il ricorso al corposo e patinatissimo catalogo (ricolmo di rutilanti foto adatte alle riviste di settore) fuga le molte perplessità sulla scientificità dell’operazione. L’impressione generale è di trovarsi innanzi a un’ibridazione fra museo e salone dell’automobile che, a tratti, rammenta non un’esposizione ma un autosalone concessionario. Ciò detto, è quasi certo che la mostra non mancherà di attirare un pubblico più soggiogato dalla concupiscenza dello sguardo che non disposto a porsi troppi interrogativi. Questo probabilmente, e a torto, è ritenuto un pedaggio da pagare sulla strada dei grandi numeri.

Luca Gibello e Gabriele Toneguzzi

« Mitomacchina. Storia, tecnologia e futuro del design dell’automobile », a cura di Gian Piero Brunetta, Pierluigi Cerri, Emilio Deleidi, Giampaolo Fabris, Giorgetto Giugiaro, Tomás Maldonado, Giuliano Molineri, Adolfo Orsi, Sergio Pininfarina, Mauro Tedeschini e la rivista Quattroruote

Rovereto, MART, fino al 1° maggio.

Recensione pubblicata su Il Giornale dell’Architettura (Giornale del design), Gennaio 2007

This entry was written by gt, posted on 6 Febbraio 2007 at 07:33, filed under Articoli/scritti, Biblioteca, Industrial design, Musei, Recensioni, Riviste. Bookmark the permalink. Follow any comments here with the RSS feed for this post.

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